Qualche giorno fa mi sono ritrovato a guardare, purtroppo solo sulle pagine di un libro, le Allegorie del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti in Città e in Campagna, gli affreschi che Ambrogio Lorenzetti dipinse, per una lunghezza totale di oltre trenta metri, nella parte superiore di tre pareti della Sala del Consiglio dei Nove, nel Palazzo Pubblico di Siena
Non sono in grado di spiegare in modo adeguato l’importanza
dell’opera d’Ambrogio; vi rimando, per questo, agli articoli degli specialisti
in storia dell’arte.
E’ evidente anche ai miei occhi ignoranti, però, quanto
sia straordinaria la sua attenzione al reale; quanto sia precisa la
sua volontà di rendere i gesti e le espressioni dei volti: un'ansia di
rappresentare il proprio mondo - in cui spirano già i venti di quel che sarà,
di lì a poco, il Rinascimento - resa palese dall'uso della
prospettiva, seppure ancora solo intuitiva, con cui Ambrogio raffigura gli
edifici nella città degli “Effetti del Buon Governo”, e dalla messe di dettagli
che utilizza per descrivere i personaggi che la popolano.
In linea potete trovarne molte riproduzioni delle
"Allegorie"; guardatele.
Vedrete che Ambrogio Lorenzetti è un pittore di
Siena, ma che, se forse ha frequentato Duccio - questi sicuramente tenne a
bottega suo fratello, Piero Lorenzetti - è certo anche al corrente di quel che
accade nella Firenze di Giotto e che, proprio con quel suo naturalismo, offre
qualcosa di nuovo, superando i canoni, o meglio sarebbe dire gli stereotipi,
del gotico internazionale.
Guardate, poi, com’è dipinta la figura della Giustizia nella
“Allegoria del Buon Governo” e, quindi, in quella del Cattivo Governo.
Sta sola nella sua maestà, la Giustizia operante
del Buon Governo, castigando i colpevoli e risarcendo le vittime. Sopra di lei
solo v’è la Sapienza; sotto di lei, la Concordia distribuisce
i suoi consigli.
La Giustizia compare ancora, nello stesso affresco, seduta
all’estrema sinistra del re - la destra dell'osservatore - ma tenuta ben
separata da lui da altre due figure: quelle della Magnanimità e quella della
Temperanza che, a riprova dell’attenzione d’Ambrogio per i dettagli del
quotidiano, regge la prima clessidra che sia mai stata rappresentata nella
storia dell’arte.
L’affresco della “Allegoria del Cattivo Governo” è, invece,
dominato dalla figura bestiale, diabolica, del Tiranno che, solo, siede sul trono
sotto la protezione dell’Avarizia, della Superbia e della Vanagloria.
La Giustizia del Cattivo Governo giace, in catene, ai piedi
del Tiranno, tenuta ben salda da uno sgherro: è una Giustizia, direbbe un
moderno costituzionalista, sottomessa all’esecutivo.
Anche in questo affresco - questa è, perlomeno, la mia
personale interpretazione - la Giustizia compare due volte; credo sia da
identificare con lei anche la figura di donna vestita di rosso che sta sopra
alle ginocchia del Tiranno: una Giustizia schiava, dunque, e, se ho ragione in
quella mia intuizione, meretrice.
Le "Allegorie del Buono e cattivo Governo e dei loro
Effetti in Città e in Campagna" furono dipinte tra il 1338 ed
il 1340.
Oggi, settecento e settanta anni dopo, quando da una parte
del mondo politico si chiede di porre un freno all'azione della magistratura e
di sottoporla, in un modo o nell'altro, al potere esecutivo, pare che molti non
abbiano ancora capito che volesse dire Ambrogio: perché, nella sua opera, la
città dove la giustizia regna sovrana sia prospera e luminosa e, invece, la
campagna dove la giustizia è serva sia ridotta ad una landa oscura e desolata.
Diceva bene Renzo Piano, ospite della trasmissione di
Fazio e Saviano; v’è in noi italiani una cultura vera, sedimentatasi in
generazioni e secoli di conoscenza e ricerca del bello, che ci rende unici e -
questa è anche la mia personale esperienza - graditi ospiti ovunque andiamo.
Purtroppo, spesso, la ignoriamo o, ancora peggio, pur
conoscendola preferiamo dimenticarla: è il nostro vero, grande, peccato.
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