LA ZATTERA DELLA MEDUSA



Vi fu un tempo in cui un affondamento poteva arrivare a scuotere la coscienza d'Europa e ad ispirare un capolavoro. Oggi, al massimo, simile tragedie arrivano a guadagnarsi per un giorno i titoli dei giornali. Quanto alle nostre coscienze, ormai, pare siano capaci di abituarsi a tutto. Morte e sepolte.
Nel corso di storia dell’arte che sto tenendo ai miei ragazzi, mi sono trovato a dover spiegare, in un paio d’ore, cosa sia stato il romanticismo: questo crogiolo della modernità che contiene i semi di tutto quel che è venuto dopo, o quasi.
Farlo a parole mi è parso compito impossibile, perlomeno restando dentro ai limiti delle mie conoscenze; ho preferito mostrarlo come appare nel quadro che, per me, del romanticismo è l’assoluto paradigma: “La Zattera della Medusa” di Gericault.
Sono in buona compagnia in questa convinzione (la condividono due grandissimi come Jacques Barzun e Kenneth Clark) e credo che sia difficile per chiunque suggerire un’altra opera che mostri, in un solo colpo d’occhio, tanti aspetti della sensibilità romantica.
E’ romantica la stessa genesi del quadro; dipinto dall’artista quando era solo ventisettenne fu realizzato, senza nessun committente, per affrontare le incertezze del mercato, e della critica, nel salone del 1819. E’ uno stereotipo della nostra cultura l’artista che soffre e rischia, solitario nel proprio atelier, per completare un’opera che è sfida a se stesso e alla sorte, ma questa relazione tra artista, opera e mercato era allora agli inizi. I dipinti di grandi dimensioni (la Zattera misura all’incirca sette metri per quattro) nelle epoche precedenti erano sempre originati da una precisa committenza, le cui esigenze condizionavano certo l’artista, ma il cui supporto ne rendeva infinitamente meno drammatico, o se volete eroico, il lavoro.
L’opera d’arte che nasce dalla sola volontà dell’artista, senza un suo spazio preordinato nel mondo, deve guadagnarsi la sopravvivenza, propria e del proprio creatore, attirando un compratore; Gericault, avviando un tradizione d’arte per l’occasione che dura tuttora e per solito produce pessime opere, scelse come tema per il suo quadro un fatto di cronaca proprio sperando che questo contribuisse a suscitare l’interesse del pubblico.
Un veliero francese, il Medusa, era naufragato pochi anni prima al largo della costa africana; centocinquanta dei naufraghi avevano trovato rifugio su una zattera, ma quando questa fu avvistata, alla deriva, da una nave di passaggio, ne erano sopravvissuti solo quindici. Gli altri erano tutti scomparsi nelle due settimane che il relitto aveva passato in mare; alcuni morti di stenti, altri suicidatisi perché incapaci di resistere a quell’orrore. Molti uccisi dai propri stessi compagni. Questo fatto e ancora di più il cannibalismo che praticarono i sopravvissuti destò un enorme clamore nell’opinione pubblica francese; quando Gericault presentò il proprio quadro, tre anni dopo, nessuno ebbe dubbi sull’episodio cui si riferiva sebbene l’autore avesse scelto il titolo neutrale di “Scena da un naufragio”.
Prima di mettere mano all’enorme tela, Gericault compì un intenso lavoro di ricerca: non solo intervistò i sopravvissuti e costruì, con l’aiuto di uno di loro, un modello in scala della zattera, ma con buona pace di chi fa nascere il realismo mezzo secolo dopo, andò ben oltre. Visitò gli ospedali per studiare le espressioni dei morenti e si recò nelle celle mortuarie per annotare i toni assunti dalle carnagioni dei morti. Arrivò a portare nel proprio studio degli arti amputati per studiarne la putrefazione.
Tra le mie tesi d’eretico della storia dell’arte una vuole che l’impressionismo abbia ben poco di nuovo e che sia già perfettamente contenuto nel romanticismo. Peggio: sostengo che l’impressionismo sia, per alcuni aspetti, una riduzione ai minimi, e superficiali, termini del romanticismo, realizzata talvolta da mediocri pittori della domenica.
Esagero? Resta che tutto, o quasi, quello che i manuali di storia dell’arte riportano come caratteristico dell’impressionismo era già patrimonio dei romantici.
La pittura en plein air? Bene, Gericault per preparare la Zattera compì numerosi viaggi a Le Havre per dipingere dal vero le tempeste sull’Atlantico e s’imbarcò per l’Inghilterra per annotare, nel suo taccuino di schizzi, l’aspetto del mare visto in navigazione. Potrei ricordare anche Constable che, per convincere i propri clienti che il verde dell’erba non era il giallastro delle vernici sei- settecentesche, esibiva i suoi dipinti nei prati o Turner intento a dipingere sotto una tenda per ripararsi dalla pioggia; quel che è certo è che il luogo comune che vuole che i primi, ad uscire dallo studio per catturare i colori della natura, siano stati Monet e i suoi amici è solo un luogo comune.
Di nuovo gli impressionisti, rispetto ai loro predecessori, avevano i colori in tubetto, ma questa è una conquista della chimica, non dell’arte; la voglia di rappresentare la natura, con i mezzi disponibili, lavorando immersi in essa è perlomeno vecchia quanto Leonardo e Dürer.
A differenza di quello che sarà poi per gli impressionisti, il mare che circonda la Zattera non è un mero spettacolo visuale, l’occasione per uno studio di luci ed atmosfera; è il secondo protagonista del dramma. Non scenario, ma attore; una titanica forza della natura contro la quale i naufraghi lottano per la sopravvivenza.
Quanto è perfettamente romantica questa visione; la lotta contro la natura e le sue forze come affermazione eroica dell’individualità secondo termine, assieme all’altrettanto romantica pulsione a fondersi e con-sentire con essa, di un rapporto dialettico che mira al sublime. Essere, ferocemente essere, eppure sentirsi parte del tutto, fino annullare il confine tra individuo e universo: questa è la sintesi del rapporto romantico con il reale.
Una tensione tra finito ed infinito, in cui il primo termine tende invariabilmente verso il secondo, la cui soluzione è, per Schlegel, il compito ultimo dell’arte e dell’artista.
 "Pensati come un essere finito educato all'infinito, allora tu penserai un uomo".
Il mare di Gericault ha una sua precisa fisicità, comunque, non è solo metafora; è un mare scultoreo, tanto oggettivo da poter piacere a Rilke, che si oppone anche visivamente, con il moto delle sue onde, all’avanzare della zattera.
Onde torreggianti che investono lo spettatore mentre la zattera, faticosamente, dallo spettatore si allontana; un espediente compositivo che ci porta, istintivamente, a bordo del relitto: tra i naufraghi.
Guardando l’opera si coglie dapprima l’ammasso dei morenti, in primo piano, disposti in un gruppo piramidale che ha come vertice l’albero della zattera; l’occhio poi passa al secondo gruppo, verso prua, di coloro che ancora riescono a lottare e sperare. E’ un altra piramide, più dinamica della precedente, che ha come vertice la macchia di colore dello straccio (una bandiera? Una camicia?) che uno dei naufraghi agita per attrarre l’attenzione della nave appena avvistata, lontano, all’orizzonte, e che rappresenterà la salvezza.
Un modello classico, la composizione piramidale, tipica di tante opere del rinascimento, che Gericault raddoppia spezzando la nostra attenzione (l’occhio non riesce a riposare; si sposta dall’uno all’altro gruppo e inciampa, per così dire, negli spigoli vivi dei rottami della zattera) comunicando un senso di precarietà, di provvisorietà, con un effetto che è assai maggiore nella visione dal vero del quadro che in quella delle riproduzioni di piccolo formato.
Prima di assemblare (procedendo come uno scenografo teatrale) le due piramidi umane che dominano il quadro, Gericault disegnò infiniti schizzi, ma non si limitò agli studi dal vero; nel corso di un viaggio in Italia ammirò e studiò Michelangelo e Caravaggio (caravaggesco, anche per l’occhio meno esperto, è il forte chiaroscuro dell’opera e devono molto a Michelangelo i volumi delle figure) con un’attenzione ai grandi maestri del passato che non può che far pensare a Ingres e alla tradizione neoclassica.
Perfettamente romantica è invece la drammaticità che esprimono volti e gesti di ogni singola figura. Sguardi folli e ovunque i segni della tragedia studiati con la fascinazione, anch’essa tipicamente romantica, per il lato oscuro, orfico, della psiche umana di cui lo stesso Gericault dà prova anche in una serie di ritratti di pazzi, ladri e assassini che eseguì, con meravigliosa scioltezza, proprio in quegli anni.
Giotto riporta l’individuo, e il mondo, nell’arte occidentale; Cezanne trascende il reale ricercando le geometrie nascoste che lo compongono.
Tra questi due termini la storia dell’arte è evoluzione senza cesure , con ampie sovrapposizioni, e qualunque tentativo di periodizzazione non può che essere un crudo strumento , utile forse per avere un approssimativo orientamento, ma nulla di più.
Vale per l’arte e vale, più in generale, per la cultura europea nel suo complesso.
L’attenzione alla psicologia dei personaggi, caratteristica del romanzo d’inizio novecento non è un fatto più nuovo di quanto lo sia la pittura dal vero dei paesaggi da parte degli impressionisti; Freud, come i chimici con i colori, ha dato un nuovo armamentario lessicale agli scrittori, ma l’attenzione degli artisti ai moti dell’animo è vecchia quanto l’arte occidentale: è anzi la vera caratteristica distintiva dell’occidente.
Quanta introspezione c’è negli autoritratti di Rembrandt? Quanta finezza d’analisi psicologica nei ritratti di Velazquez? Quanta attenzione c’è, in Gericault, nella rappresentazione di un paesaggio emotivo che si estende lungo tutto l’arco delle più estreme sensazioni; dalla disperazione totale delle figure in primo piano alla folle speranza di chi, a prua, vede la salvezza avvicinarsi.
Un’opera monumentale in tutti i sensi, la Zattera della Medusa, che prosegue la tradizione classica della pittura europea (perfettamente classici sono il trattamento delle superficie pittorica, il chiaroscuro, il disegno delle figure) e la innova con temi e dinamiche che sono il segno della sensibilità particolare del tempo in cui venne dipinta.
Morì giovane, purtroppo, Gericault; di quello che avrebbe potuto fare nella sua maturità e vecchiaia non ci è dato sapere.
Per avere qualche idea su quel che avrebbe potuto essere dobbiamo volgere lo sguardo all’opera del suo coetaneo Camille Corot; chissà se le pennellate di Gericault vecchio si sarebbero fatte altrettanto libere e grasse? Se quei ritratti di folli di cui vi parlavo possono essere un’indicazione, io credo che sarebbe andato oltre.
Peccato.


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