sabato 15 aprile 2017

RINASCITE: PIERO DELLA FRANCESCA, RESURREZIONE

Piero della Francesca, Resurrezione. Affresco  di 225 x 200 cm
1463-1465? Borgo Sansepolcro (Ar), Museo Civico.

Tra i pellegrinaggi che devo ancora compiere, c’è quello a Borgo Sansepolcro per ammirare le opere di Piero che vi sono conservate e per cercare di scoprire se è anche nel paesaggio di quella terra di confine, ancora Toscana, ma prossima ad Umbria e Marche, il segreto della sua straordinaria visione; di quella magia che mi ostino a pensare non possa essere dovuta solo ai segreti numeri delle prospettive su cui sono costruite le sue immagini.



Trasgredirò dunque alla regola che mi sono imposto, di non parlare di opere che non ho visto dal vero, nel commentare con voi la Resurrezione. Si trova ancora oggi, infatti, nel luogo in cui fu dipinta: il Palazzo del Governo (ora diventato Museo Civico) proprio della cittadina dove Piero nacque (nel 1416 o 17). Una località che neppure allora era una capitale, e da cui Pietro dovette allontanarsi per lavorare, viaggiando un po’ ovunque tra Roma e Bologna, ma con cui mantenne sempre i contatti e dove morì, il 12 ottobre 1492, lo stesso giorno in cui fu scoperta l’America. Detto questo, confessata la mia colpa, non mi resta che spiegare perché abbia scelto di vedere con voi questa che per Aldous Huxley era "la più bella pittura del mondo": c’entra l’avvicinarsi della Pasqua, è ovvio, ma almeno una parte me, purtroppo quella meno ragionevole, si ostina a sperare rappresenti il momento che sta attraversando il nostro paese. O perlomeno se lo augura.


Non si sa la data esatta in cui Piero realizzò l’affresco, un riquadro di circa due metri di lato; probabilmente lo iniziò dopo il primo febbraio 1459, quando i fiorentini restituirono alla cittadina una qualche forma di autonomia e il Palazzo del Governo ai suoi abitanti. Forse questa, oltre al nome stesso della cittadina, potrebbe essere la ragione della scelta del soggetto. Di certo La Resurrezione appartiene alla piena maturità di Pietro; agli anni in cui dipinse il ciclo delle Storie della Vera Croce, nella cappella maggiore della Basilica di San Francesco ad Arezzo, una delle vette del Rinascimento.

La sua arte, per allora, si era già perfettamente definita. Aveva già lavorato con Domenico Veneziano, ne aveva visto i colori ed aveva imparato a dominarli nella luce, assolutamente mentale, altissima e morbida ad un tempo, del proprio eterno mezzogiorno. Aveva studiato Masaccio, aveva fatto propria la solida plasticità delle sue figure ed aveva appreso come inserirle nello spazio matematico, razionale, della prospettiva brunelleschiana, arrivando a quel dominio dei volumi che lo avrebbe fatto accostare poi, da Roberto Longhi per primo, a Cezanne.

Aveva già viaggiato molto; a Ferrara, in particolare, aveva incontrato Rogier Van der Weyden o perlomeno ne aveva visto le sue opere: una conoscenza dei fiamminghi testimoniata, oltre che dall’uso precoce che fece dell’olio, dal suo interesse ai più minuti dettagli. Un’attenzione ai particolari che, tornando alla Resurrezione, possiamo ritrovare, per esempio, nella resa meticolosa, piega per piega, del panneggio, di croccantezza quasi gotica, che avvolge la figura del Cristo: un pezzo di pittura dalla straordinaria difficoltà, considerando le limitazioni della tecnica dell’affresco e la rapidità d’esecuzione che impone.
Lo schema compositivo dell’opera è, in sé, semplicissimo; un alto triangolo, che ha per base il gruppo dei quattro soldati e per vertice l’aureola sulla testa del Cristo, cui dà ulteriore slancio la bandiera crociata, simbolo della parte guelfa o, secondo altri, semplicemente della resurrezione.

Il Cristo risorto domina. Lo spazio pittorico e noi stessi. E’ una delle figure più straordinarie della storia dell’arte; per descriverla generazioni di critici hanno sprecato aggettivi. “Ieratico” e “solenne” per molti, era “atletico” per Huxley, mentre Longhi lo riteneva incomparabilmente più “astratto” di qualunque cosa fosse stata dipinto prima. 
Ci sta perfettamente di fronte. È eretto, con il piede sinistro appoggiato al bordo del sepolcro (un sarcofago d’ispirazione classica) ed il destro ancora dentro di questo. Nella destra regge l’asta della bandiera crociata, con la sinistra, appoggiata al ginocchio, sostiene il proprio panneggio. Ci guarda. Meglio ancora, pare ci guardi attraverso, mentre ci mostra, impassibile, le piaghe della sua passione. È una figura di questo mondo, ma non come lo siamo noi.

Facendo un confronto con i soldati che giacciono addossati al sarcofago, ci accorgiamo che Piero, per accentuare questo effetto, lo ha dipinto con un punto di vista diverso (posto all’altezza del nostro sguardo) rispetto a loro, visti da un livello solo di poco più alto di quello del suolo. Sono in quattro e hanno gli occhi chiusi. Ignari, dormono. Uno di loro, quello che ha il volto nella nostra direzione, la schiena appoggiata al sepolcro e tiene il capo a contatto con l’asta della bandiera è, con tutta probabilità, lo stesso Piero.

Il Cristo vigile e un’umanità ancora assonnata. Una contrapposizione, opposta a quella dipinta da Bosch nel suo Portacroce (lì Gesù che si avvia al Calvario, tra gli sguardi folli delle gente, è l’unico a tenere gli occhi chiusi), dentro un dipinto straordinario anche perché, nella sua unità e coerenza, tutto fatto di contrapposizioni. La prima che l’occhio coglie, per la sua grande enfasi visiva, quella generata dall’incontro della massa chiara del sarcofago, che divide orizzontalmente il dipinto, con quella verticale del corpo di Cristo. Una “linea” che seziona il paesaggio in due metà pure contrapposte, come ci accorgiamo dopo aver superato l’impatto con la visione del Risorto: è inverno e gli alberi sono spogli, alla destra del dipinto, dove la gamba del Cristo è ancora nel sepolcro; è invece primavera a sinistra, e lì la natura si lascia ammirare rigogliosa.

Contrapposizioni che sono simbolo di quella suprema, tra la vita eterna e l’esistenza mortale, che è il tema centrale di questo che è il più rinascimentale dei dipinti rinascimentali e che del Rinascimento, della rinascita, può essere assunto a vero e proprio simbolo. Un'icona di quella vita nuova che oggi, mentre gli unici fiori che si vedono sono quelli della primavera meteorologica, possiamo solo augurare a noi stessi e, credenti o no, a tutti quelli che amiamo. Il nostro paese, assolutamente compreso.

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