mercoledì 4 febbraio 2015

FLAVO E' L'AGGETTIVO DEL DILEMMA.




Di Schüler, Sguardo giallo. Acrilico su tela preparata, 70 x100 cm
Milano, collezione privata.


Ho un paio di immagini fortissime scolpite nella mente, mentre una verità mi è scoppiata nel petto. Ho dentro una poesia. Tirarla fuori, farla diventare versi, mi sta costando fatica, come sempre.


La folgorazione è cosa di un istante, ma esprimerla, a noi mortali, può richiedere mesi o anni. Un paio di sere fa, cercando nella grande cava del vocabolario un sinonimo di giallo, parola che non mi è mai piaciuta, che sempre ho trovato sguaiata, ho incontrato flavo, che proprio non avevo mai sentito prima se non dentro il nome di un colorante: la flavina.
Non solo giallo, ma giallo carico, intenso, precisava il sacro testo: perfetto, proprio quello che mi serviva.
Sì, ma … usare o no un così desueto latinismo? Ammesso che non sia davvero uno di loro, non corro il rischio di confondermi con quei poeti della domenica, tanto ben descritti da Borges, che pensano basti una parola insolita a giustificare un verso? Soprattutto, i miei lettori (2 o 3, lo so benissimo, e senza manzoniana modestia) comprenderanno il significato di quell'aggettivo probabilmente inaudito anche per loro?
Ci ho pensato. Accidenti, semplificando il lessico, limitandone l'ampiezza, finiremo per ridurci ai grugniti; qualcosa di semplice, come vuole la moda (nel più etimologico dei sensi) e che sono in grado di capire proprio tutti.

No no. Flavo lo userò. Eccome.

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