lunedì 8 dicembre 2014

DYLAN THOMAS, IN MY CRAFT OR SULLEN ART.

Un tentativo di traduzione. Da una delle Lettere dalla fine del mondo.



A proposito di artisti e notti insonni, passate a scrivere in una casa in riva al mare, ti lascio con un poema che sto traducendo in italiano.


L’ha scritto Dylan Thomas, uno dei rarissimi maghi della parola che la modernità abbia prodotto, ed è uno dei più famosi tra quelli che compongono la sua raccolta più celebre, Deaths and Entrances, Morti e Ingressi, pubblicata nel 1946 e in larga parte incentrata sugli effetti della Seconda Guerra Mondiale.
Te lo riporto qui sotto. Leggilo ad alta voce; non c’è altro modo di render giustizia al lavoro del poeta gallese.
Senti il ritmo vellutato del verso, che s’increspa in certi punti, per frangersi poi con la subitanea ed inevitabile naturalezza della cresta di un’onda; ammira il modo in cui quelle parole si accostano tra loro, suonano e risuonano. Pare impossibile che esistano già così nel vocabolario; che non sia stato il poeta ad inventarle a bella posta. Che non siano state tagliate su un disegno preordinato, come le pietre cui lo scalpello dava forma perché componessero, una volta messe al proprio posto, l’ideale armonico della facciata di una cattedrale.
È questa la vera poesia? Non lo so, Reader, e penso che nessuno possa sapere cosa sia o no poesia, come nessuno può dare una regola che stabilisca dove finisca la musica ed inizi il rumore.
Tutto dipende, come sempre, da quel che il lettore, o l’ascoltatore, trova in quelle parole, o in quelle note. Quella del poeta, o del musicista, è sempre e solo una proposta. Detto questo, mi resta il dubbio che l’ansia post-moderna di verità e significati, ci abbia fatto scordare cosa può arrivare ad essere la poesia; che ci si sia talmente imbarbariti da non comprendere più che l’arte è la più alta testimonianza del nostro ingegno anche perché non deve, solo può, significare o servire.
Sorrido, arrivato al momento di salutarti, anche se la mia traduzione fa proprio pena; non so fare di meglio, ma non ha nulla delle sonorità dell’originale, come potrai facilmente costatare, pur non sapendo l’italiano e sempre che tu lo voglia, andandola a leggere qua sotto.



In My Craft or Sullen Art

In my craft or sullen art
Exercised in the still night
When only the moon rages
And the lovers lie abed 
With all their griefs in their arms,
I labour by singing light
Not for ambition or bread
Or the strut and trade of charms
On the ivory stages
But for the common wages
Of their most secret heart.
Not for the proud man apart
From the raging moon I write
On these spindrift pages
Nor for the towering dead
With their nightingales and psalms
But for the lovers, their arms
Round the griefs of the ages,
Who pay no praise or wages
Nor heed my craft or art.

Nel mio mestiere o arte scontrosa


Nel mio mestiere o arte scontrosa 
Esercitato nella notte silente 
Quando solo la luna infuria
E giacciono gli amanti nel letto
Con tutte le loro pene tra le braccia,
Io fatico accanto alla luce che canta 
Non per ambizione o pane 
O la vanità e il commercio d’incanti 
Sui palcoscenici d’avorio 
Ma per il comune salario
Del loro cuore più segreto.
Non per l’uomo fiero in disparte 
Dalla luna rabbiosa io scrivo 
In queste pagine spruzzate di schiuma 
Né per i morti che torreggiano 
Coi loro usignoli e salmi 
Ma per gli amanti, le loro braccia 
Attorno alle pene d’ogni era,
Che non pagan elogio o salari 
Né fan caso al mio mestiere o arte





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